Per una nuova etica del lavoro

Il lavoro è politica

Il lavoro spesso ci plasma più di quanto noi non riusciamo a plasmare il lavoro; e più il rapporto è sbilanciato, più ne usciamo disorientati. Il lavoro è politica: tutti i lavori lo sono, perché determinano i rapporti all’interno di una comunità.  

 

La crisi del lavoro

 Il lavoro ha perso la sua dignità: il lavoro manuale è malvisto; il lavoro intellettuale è deriso, come un esercizio di stile fine a se stesso. Un’antitesi che non rende giustizia a nessuno, tanto meno a chi si ritrova a metà strada. L’operaio esegue un lavoro standardizzato, in cui la fantasia è disincentivata; il creativo, complice il suo stesso snobismo, è incapace di rapportarsi con la realtà che dovrebbe costruire. 

 

 Nel nostro ambito le conseguenze sono tangibili, e a farne le spese è tutta la collettività: gli spazi rischiano di non essere più teatro di incontro e di scambio, ma luoghi asettici e senz’anima, perfetti da attraversare ma non da vivere.  

 

Le esternalità del lavoro

 Il modo in cui lavoriamo ha implicazioni sulle persone che lavorano con noi e sul mondo che ci circonda: ciò che facciamo ha un impatto, in termini ambientali, economici e sociali. Tutti noi dovremmo riflettere su questo concetto come cittadini, come elettori e come consumatori.  

 Come professionisti, possiamo proporre soluzioni che abbiano esternalità positive, ma la loro attuazione è spesso frenata dalla volontà del committente di minimizzare i costi. Finché non sarà economicamente conveniente, ogni possibile cambiamento dipenderà dalla sensibilità di chi paga.  

 

 

PS: a questo link la prima parte della nostra riflessione su lavoro, spazi pubblici e socialità: se ne condividi i valori, contattaci per contribuire allo sviluppo di questo “manifesto” o aiutaci a diffonderlo condividendolo anche attraverso i nostri canali Facebook e Instagram